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Prato Resia 22-27 luglio 2019

Diario di Giorgio Osti su Facebook (evento creato dentro il gruppo ‘aree fragili’)

22 luglio primo giorno di campo scuola, senza lavoro che parte stamattina (23 luglio); saluti delle autorità locali e del parco; nostri ringraziamenti per la calorosa ospitalità (non dimentichiamo questi valori antichi); due relazioni, quella di Maurizio Fermeglia, MR a fine mandato, in larga misura centrata sul reperimento e uso di energia, principale responsabile dell'effetto serra; quella di Michele Pipan, molto tecnica sugli strumenti che la geofisica mette a disposizione per capire i cambiamenti climatici.

Strati geologici e ghiacciai mantengono una memoria lunga dei cambiamenti e sono indicatori formidabili; anche gli strumenti di diagnostica sono molteplici. Impossibile fare sintesi; registro un grande interesse degli studenti (8 in tutto) e 'il' problema che aleggia: come conciliare le conoscenze fra loro (non dimentichiamo che esistono posizioni negazioniste fra gli scienziati) e un certo sentimento antipolitico (=contrapposizione fra scienziati e politici) che durante il campo dovremo sanare o meglio dimostrare che si tratta di mediare fra forme di conoscenza pratica. Oggi arriva Davide Pettenella; vedremo se riusciamo a fare un passo in avanti nella mediazione.

23 luglio. Secondo giorno di campo scuola e lavoro; la mattina spesa per prima esplorazione del territorio sotto la guida di Giuliano Fiorini dell'associazione Vivistolvizza.

Oltre alla bellezza dei luoghi, i ragazzi notano la straordinaria socievolezza del Fiorini, che si ferma a parlare con chiunque incontri nella valle. Pomeriggio intenso con prof. Davide Pettenella interpuntato dall'ispettore forestale Di Gallo (stazione di Gemona). Si parte dalla tempesta Vaia per fare un discorso a 360° sulla gestione forestale in Italia e Europa. Intanto due elementi 'percettivi': Vaia ha destato un interesse enorme in associazioni e mass media; con Vaia la gente scopre che un terzo del territorio italiano è coperto da boschi. Sproporzione tremenda fra livello di attenzione e consistenza materiale del boschi. Tralascerei le puntuali e molto critiche analisi di Davide Pettenella sugli aspetti economici e di policy delle foreste (le sue slide e altro materiale sono nel sito di TESAF UniPd) e andrei sulla questione centrale del campo: il cambiamento climatico in aree fragili. Bisogna aspettarsi nuovi eventi estremi in futuro; dobbiamo prepararci modificando le gestioni dei boschi: con uno slogan diremo 'biodiversità' a tutti i livelli (di specie arboree, di età delle piante e di modalità di diradamento), ma serve anche una connessione di tale biodiversità con i cicli economici. Se il legname continua ad essere usato prevalentemente per scopi energetici o per manufatti di scarso valore commerciale non ne usciamo. La diversità delle specie andrebbe collegata con il consumo critico: usare molto di più essenze arboree locali nei prodotti finali, spingere la gente a usare più manufatti in legno, comprese le case intere. Tutto dilatato in tempi lunghi, addirittura oltre la generazione degli studenti del campo.

Ma la nostra fiducia in tempi nuovi è forte.

 

24 luglio 2019, terzo giorno di campo scuola e lavoro. Gli studenti comunicano un certo compiacimento per i lavori mattutini (rastrellare e fare covoni); mostrano con una punta di vanità i calli che si vanno formando nelle mani.

Tutto potrebbe essere liquidato come snobismo urbano. Ma credo non sia così, manualità e corporeità sono un tutt'uno con la mente; e il rendimento, quando a lezione si parla di cambiamento climatico in montagna, aumenta vertiginosamente. Si sa di cosa si sta parlando. Le lezioni del pomeriggio sono tenute da due esperti di aree rurali: Giovanni Carrosio e Viviana Ferrario; il primo propone il metodo degli scenari, la seconda la chiave di lettura del paesaggio.

Lo spazio mentale degli studenti, popolato di relazioni lineari di causa ed effetto, si arricchisce di schemi che esaltano l'interdipendenza fra sistemi a loro volta internamente complessi. Tanto che una studentessa a fine lezioni si premura di mandare la foto allegata. Direi obiettivo raggiunto. Ciononostante, l'apprendimento dei cambiamenti climatici è come un pendolo che oscilla fra incremento della complessità e semplificazioni. Una volta appurata la molteplicità dei fattori concomitanti il disastro Vaia, quali sono i fattori e le azioni da privilegiare? Nel caso specifico la priorità è stata la rimozione degli alberi abbattuti; ve ne sono altre più importanti? Se fosse vero che il problema è lo scarso valore commerciale e ecologico dell'abete rosso, bisognerebbe pensare di intervenire prima di tutto sul mercato del legno e sugli sbocchi produttivi del legname. E così ci allacciamo magicamente alle conclusioni del secondo giorno: il nodo è il consumo eco-critico.

 

25 luglio, quarta giornata del campo scuola e lavoro. Fra scuola e lavoro il risultato è, in termini calcistici, di 3 a 3.

Tanti bei gol segnati sia dal lavoro (ancora covoni e poi pittura casette via crucis) che dalla lezione sulla comunicazione del rischio da parte di Giancarlo Sturloni, docente della Sissa di Trieste. La giornata coronata da cena sulla piazza di Stolvizza con musiche e balli locali. Qui bisognerebbe aprire un discorso sulle peculiarità storiche e etniche della valle Resia, ma rimandiamo ad altre più autorevoli fonti. Certamente la cena e i balli condivisi con la gente del posto ha convinto tutti che la formula studio più lavoro è vincente, e questo vale anche per l'ecologia della mente; tre ore sui campi predispone l'apprendimento delle tre ore di lezione frontale. Se il metodo funziona e tutto sommato gratifica noi organizzatori, restano molti crucci sul che fare per o contro il cambiamento climatico. La percezione, valutazione e comunicazione del rischio è FONDAMENTALE.

Siamo passati dal trascurare il fenomeno a reazioni smodate, isteriche; serve una comunicazione condivisa fra esperti e vari spezzoni della popolazione. Il problema è che il cambiamento climatico è pervasivo (gran caldo ovunque) ed estremamente puntuale (la pioggia torrenziale, la frana, il vento forte qui e lì. La tentazione fatalista incombe.... speriamo non colpisca la mia casa. Insomma bisogna passare all'azione, ma in modo ragionato e allo stesso tempo partecipato. Cerchiamo di farlo nei due giorni di campo che rimangono, chiamando in causa gli stessi esperti, la politica e i nostri stili di vita (sotto foto e titolo ne Il Piccolo del 26 luglio).

 

26 luglio, penultimo giorno del campo. Si nota un po' di stanchezza degli studenti che sembrano meno pronti alle domande. Però la quota parte di lavoro è stata osservata con diligenza e entusiasmo. Già si fanno progetti per tornare da queste parti, che è l'auspicio degli amministratori quando ci hanno salutato il primo giorno del campo. C'è una vocazione all'ospitalità turistica che appare come la via privilegiata per mantenere le attività di servizio e una certa autostima dei valligiani.

Le lezioni del pomeriggio condotte da Alessandra Marin, urbanista di Units e Stefano Santi direttore del parco hanno svelato aspetti propositivi o meglio progettuali. La prima ci ha raccontato di due boschi, quello di Sant'Antonio a Pescocostanzo in Abbruzzo e quello di Mestre, che si articola in corsi d'acqua, forti, zone agricole, corridoi attrezzati. Il secondo ci ha descritto il parco su tre registri: morfologia, fauna, processo politico che ha portato alla creazione dell'area protetta.

Casi diversissimi che sbarrano il campo al cambiamento climatico con l'arma della biodiversità: più è alta più i sistemi resistono a stress intensi.

Nel farsi di questi progetti di tutela e valorizzazione emergono due strategie vincenti: una è la logica incrementale, del passo dopo passo, dei microrisultati, che sembra ridurre la conflittualità con coloro che accampano diritti d'uso dei beni ambientali. Vi è però da chiedersi se non sia troppo lenta rispetto al ritmo di avanzamento del cambiamento climatico.

L'altra è la prospettiva dei servizi ecosistemici. Nel parco di Mestre specchi d'acqua e canali rinaturalizzati diventano dei preziosi serbatoi per le piogge violente; potrebbero salvare zone di Mestre da allagamenti. Nel parco delle Prealpi Giulie è in corso una trattativa con l'utility che preleva acqua in zona per inserire nelle bollette una piccola parte che va a ripagare il servizio di mantenimento della sorgente.

In entrambi i casi vi è una vendita di eco-servizi che può fornire non solo risorse monetarie ai parchi ma anche senso di attaccamento e riconoscenza da parte delle popolazioni servite. Torniamo così ad un punto già emerso nel campo: le misure per ridurre i danni del CC devono passare attraverso un riconoscimento economico e simbolico alle aree verdi. Questo forse il senso di aver fatto il campo scuola e lavoro dentro un parco naturale.

 

27 luglio, ultimo appuntamento del campo scuola e lavoro, un seminario al quale partecipano gli amministratori locali.

Sono presenti Anna Micelli, neo-sindaco di Resia, Andrea Beltrame e Stefano Santi rispettivamente presidente e direttore del parco delle Prealpi Giulie, Giuliano Fiorini di Vivistolvizza, graditi ospiti Vanni Treu coop. Cramars, Alessandro Gretter, Fondazione Mach, Monica Pascoli, UniUd, modera Giorgio Sulligoi, coordinatore del centro interdipartimentale G. Ciamician di UniTs, sotto la cui egida si è svolto il campo. Sempre di UniTs è presente Michele Pipan, prorettore e co-tutor del campo, e l'immancabile Giovanni Carrosio. E' importante dire chi partecipa perché segna l'importanza e il taglio del campo. Le autorità accademiche triestine hanno creduto in questa iniziativa. Nella prossima edizione è auspicabile coinvolgere l'Università di Udine e altri atenei.

Sul taglio dato al campo vi è stato consenso unanime: unire lavoro e studio avvicina e mette sullo stesso piano ospiti e abitanti della valle Resia. A scanso di equivoci bisogna dire che è l'abbinamento con lo studio la carta vincente; da solo il lavoro non è così apprezzabile, perché è anche fatica e downgrading, spt se manuale. Se abbinato allo studio diventa professionalità.

Qualche dissenso si è registrato invece su come e quanto la crisi climatica (accezione più corretta di cambiamento c.) si coniughi con le esigenze di sopravvivenza delle popolazioni in aree come la valle Resia. Qui si confrontano due posizioni: chi insiste sul bisogno prioritario di lavoro e servizi in loco per non far scomparire gli ultimi mohicani e chi dice usiamo la crisi climatica per fare della valle un esperimento ecologico. Chiara Mastromarino, una delle studentesse del campo, sogna di fare in valle Resia un ecovillaggio. Su questa utopia possiamo pensare varie iniziative post-campo.

Infine, fra le tante gratificazioni umane e professionali che il campo ha portato va ricordata anche la vocazione di Aree Fragili APS a diversificarsi, oltre al convegno di Rovigo, all'eco-carovana sul fiume Chiese, ora un altro tassello, frutti belli e succosi.

Grazie a studenti, relatori e alle istituzioni della valle.

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