“Ha senso catturare la CO2 dall’uscita delle ciminiere delle centrali a gas?” è l’interrogativo a cui hanno provato a rispondere i ricercatori del Dipartimento di Ingegneria e Architettura Maurizio Fermeglia, Alessandro Massi Pavan e Andrea Mio, all’interno di uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica di settore Energy Conversion Management.
L’articolo “Fuelling power plants by natural gas: An analysis of energy efficiency, economical aspects and environmental footprint based on detailed process simulation of the whole carbon capture and storage system” ha visto, infatti, la partecipazione dei gruppi di ricerca di UniTS del Molecular Biology and Nanotechnology Laboratory (MolBNL) e del Centro Interdipartimentale Giacomo Ciamician in collaborazione con il Centro Interdipartimentale Levi Cases dell’Università di Padova.
Lo studio affronta l’attualissimo tema della sostenibilità ambientale, valutando costi ed efficienza dell’applicazione di tecnologie dedicate alla cattura e allo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo, indicata con l’acronimo inglese CCS (Carbon Capture & Storage).
Di recente, infatti, alcuni organi di stampa hanno ipotizzato che i 150 mln di euro indicati all’art. 153 della legge di Bilancio 2022 possano essere destinati al finanziamento di un maxi deposito di CO2 da realizzarsi nei giacimenti esauriti del Mare Adriatico.
Per fermare il riscaldamento globale l’Unione Europea si è recentemente posta due obiettivi molto ambiziosi: entro il 2030 abbattere le emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990, cioè far meglio nei prossimi 10 anni di quanto fatto negli ultimi 30; entro il 2050 azzerare le emissioni nette per raggiungere la neutralità climatica.
La CCS può contribuire al raggiungimento dei due obiettivi individuati dalla UE? Poiché la cattura della CO2 emessa da miliardi di mezzi di trasporto e dagli impianti termici di edifici sparsi nel mondo non è praticabile, i ricercatori hanno preso in esame l'utilizzo della CCS sulle centrali elettriche a carbone o gas per separare la CO2 dagli altri gas e immagazzinarla nel sottosuolo.
Lo studio evidenzia che l’operazione è tecnicamente fattibile, ma ha degli altissimi costi energetici ed ambientali che ne sconsigliano di fatto l’utilizzo.
Alcuni numeri: l’energia netta prodotta da un impianto a gas naturale da 560 MW cala tra il 56% ed il 70% a seconda delle tecnologie CCS usate e l’introduzione della CCS comporta un extra costo che oscilla tra i 53 ed i 100 euro/MWh.
Inoltre, poiché il processo di separazione coinvolge l’utilizzo di solventi ad alto impatto ambientale, se è vero che la CCS riduce l’impatto ambientale in termini di riscaldamento globale rispetto allo stesso impianto di produzione da gas o carbone, dagli studi svolti nel lavoro tramite analisi di Life Cycle Assesement (LCA) risulta evidente l’impatto negativo sulla salute degli esseri umani e sulla eco tossicità. Ma lo studio dimostra anche che l’indicatore del riscaldamento globale è peggiore di quello calcolato per le energie rinnovabili.
Anche utilizzando solventi meno impattanti, e questa ricerca per la prima volta ha analizzato un processo per la CCS che utilizza carbonati invece che ammine, il consumo di energia aumenta ancora di più.
Perfettamente in linea con altre analisi riportate di recente in letteratura, le conclusioni tratte dallo studio confermano la prevalenza di svantaggi sull’impiego della CCS e spiegano come mai non esistano applicazioni della CCS su larga scala, in quanto economicamente ed ambientalmente non convenienti, come nel caso dell’impianto di Petra Nova in Texas, fallito pochi mesi fa.
Per gli autori, da quanto discusso nell’articolo, la CCS rischia di compromettere un serio percorso di decarbonizzazione del sistema di produzione e consumo che dovrebbe invece basarsi sul risparmio energetico e sull’utilizzo di risorse rinnovabili.
Lo stoccaggio e l’uso della CO2 rappresentano un alibi per continuare a produrre anidride carbonica contribuendo all’attuale trend di crescita del disastro ambientale. La transizione energetica pertanto deve puntare altrove e non sarebbe proficuo destinare le risorse del Recovery Fund dei prossimi anni per investire sulla CCS.
In tal senso, alla presentazione del New Green Deal europeo, i vertici dell'UE hanno ribadito che l'economia basata sui combustibili fossili ha raggiunto i suoi limiti e indicato esplicitamente strategie di crescita indirizzate verso un'economia decarbonizzata, per lasciare alla prossima generazione un pianeta sano, buoni posti di lavoro e una crescita che non danneggi l'ambiente.